venerdì 27 gennaio 2012

The Ghost of Dachau ,il vento freddo di Germania.

Tutto scorre in orario, metropolitana di superficie, autobus, nulla sfugge alla precisione in un giorno di dicembre per vivere i luoghi della memoria incancellabile. Rimane sempre là il cancello di ferro, sotto ad una torretta alla fine di un logoro binario.“Arbeith Macht Frei” c’è scritto, una frase ridondante nel tempo, accesso all’ultimo respiro di libertà e di vita. C’è un vento freddo a Dachau, così vicino alle case, si prova una sensazione strana, rimani immerso in quello che vedi nei film, rimani impigliato nelle tante storie, nei volti scavati, nei corpi ammassati e pensi che quegli stessi luoghi erano l’ultimo avamposto di dignità. Anno millenovecentotrentatre, il Lager diventa il modello della detenzione dei prigionieri che non appartengono alla razza ariana, che hanno ideologie diverse dal Nazismo. Non è passato tanto tempo da quegli anni,dall’Olocausto,dalle assurdità di pensiero su razze superiori o inferiori, su distinzioni di sesso e religione. Camminare in mezzo ai pioppi piantati dai detenuti, è come percorrere il loro cammino tra le file parallele delle baracche. Adesso rimangono solo lunghe file parallele ai lati del viale, con il basamento in cemento delle strutture in legno, con lo sguardo si perde su uno spazio vastissimo come due campi di calcio messi insieme. Tutto intorno il filo spinato che era l’ultima barriera per la vita, la divisione tra la detenzione ed il martirio e il respiro della libertà. Le sette torrette dove i soldati tedeschi controllavano il campo sembrano ancora custodire le sentinelle pronte i mitragliare. Il vento è sempre più freddo quando varchi le stanze di disinfestazione poste prima delle "camere a gas", ma la sensazione di tempo immobile è nella “Baracke X”. L’edificio fu costruito tra il 1942 ed il 1943, dopo il primo forno crematorio realizzato nel 1940. Uomini come oggetti perduti ed inutili, che venivano buttati su una lettiga, senza vita, per essere cremati in una serie di tre forni che hanno trasformato corpi innocenti. Pura follia di un pensiero alienato. Il primato di una razza, il primato di un’ideologia. Tanti frammenti di storia si ricompongono con l’area dedicata alla memoria, dove sono custodite le ceneri di migliaia di vittime, dove ci sono i monumenti che testimoniano le diverse fedi religiose, tanti frammenti che poi si scompongono, quando alle nostre spalle si chiude il cancello ed “Arbeith Macht Frei” rimane impresso nella mente. Il vento freddo di Dachau ti cambia la vita, ti lascia un segno indelebile, rimani sospeso tra realtà,immagini di carta, storie di uomini, donne, bambini, con gli occhi tristi e carnefici farneticanti .Senti qualcosa dentro, una domanda interiore “ma come potevano fare quelle cose”, la mente rimane impigliata nel filo spinato della storia. La razza superiore è nell’immensa distesa del mondo, non ha colore di pelle, non ha differenza di religione, la razza superiore è nel nostro senso di solidarietà. Lo sguardo si volta indietro, rivedi gli spazi, le baracche, l’aria fredda gela il volto. Il tempo sospeso si rimette in moto, tutto scorre in orario, autobus, metropolitana, tutto in ordine. Il cielo grigio è sopra di me, penso alla Germania impunita per i crimini commessi, forse è troppo tardi. La Merkel, le banche, i grandi poteri, non hanno mai varcato il cancello dove i fantasmi di Dachau soffiano il vento della memoria. Non dimentichiamolo … Mai !